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02/06/2020 Progetto Trasparenza > Piano Nazionale Anticorruzione - Prevenzione della corruzione e trasparenza negli enti di diritto privato

  • Prevenzione della corruzione e trasparenza negli enti di diritto privato

Nel Piano Nazionale Anticorruzione di Anac è stato affrontato il tema dell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina individuato all’art. 2-bis del d.lgs. 33/2013 e all’art. 1, co. 2-bis, della l. 190/2012. Dalle richiamate disposizioni emerge la netta distinzione fra società a controllo pubblico e altri enti diritto privato ad esse assimilati, tenuti all’applicazione della medesima disciplina prevista per le pubbliche amministrazioni in quanto compatibile (art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013) e le società pubbliche non in controllo e altri enti di diritto privato, cui si applicano le sole misure di trasparenza concernente l’attività di pubblico interesse svolta (art. 2-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013). L’Autorità si è già occupata di tali enti nella delibera n. 1134 /2017. Le principali indicazioni ivi fornite sono state richiamate nel PNA. In particolare, alcuni chiarimenti hanno riguardato la valutazione del requisito del bilancio superiore a 500.000 euro previsto all’art. 2- bis, co. 2 e 3, del d.lgs. 33/2013 per l’applicazione della normativa alle associazioni, fondazioni e agli enti di diritto privato comunque denominati, anche privi di personalità giuridica, tenendo conto delle osservazioni formulate dal Consiglio di Stato sullo schema delle linee guida. Nel PNA, sulla base anche dell’esperienza maturata dall’Autorità nell’esercizio dell’attività consultiva e di vigilanza, si è espresso l’avviso che l’origine pubblica o privata del patrimonio dell’ente non sia determinante ai fini del requisito del bilancio. Il valore del bilancio, infatti, è stato considerato dal legislatore come valore assoluto, non correlato a risorse di provenienza pubblica, le quali invece vanno valutate sotto il profilo dell’ulteriore requisito relativo al finanziamento pubblico maggioritario per almeno due esercizi finanziari consecutivi nell’ultimo triennio. Nel PNA si è dato anche conto delle indicazioni fornite con la delibera n. 859 del 25 settembre 2019 recante “Configurabilità del controllo pubblico congiunto in società partecipate da una pluralità di pubbliche amministrazioni ai fini dell’avvio del procedimento di vigilanza per l’applicazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza di cui alla legge 190/2012 e al d.lgs. 33/2013”. Quanto alla predisposizione delle misure di prevenzione della corruzione, è stato sottolineato che la l. 190/2012 rinvia espressamente all’ambito soggettivo di cui all’art. 2-bis, co. 2, del d.lgs. 33/2013, per stabilire che il PNA costituisce atto di indirizzo per i soggetti ivi indicati ai fini dell’adozione di misure di prevenzione della corruzione integrative di quelle contenute nel modello di organizzazione e gestione adottato ai sensi del d.lgs. 231/2001. Si è rammentata la distinzione fra il sistema di misure disciplinato dal d.lgs. 231/2001 (non obbligatorio) e quello previsto dalla l. 190/2012: il primo concerne i reati commessi nell’interesse o a vantaggio della società, mentre il secondo è volto a prevenire i reati commessi a danno della società e deve essere adottato in ogni caso, anche in assenza del modello 231, in relazione alla specificità organizzativa dell’ente e alle funzioni svolte. Occorre pertanto che, ove sia predisposto un documento unitario, sia chiaramente identificabile la parte riguardante il sistema di misure di prevenzione della corruzione ai sensi della l. 190/2012, che tiene luogo del PTPCT e deve essere annualmente aggiornata, previa valutazione dell’idoneità delle misure a prevenire la corruzione rispetto alle vicende occorse all’ente nel periodo di riferimento. Diversamente, il modello organizzativo 231 va aggiornato solo al verificarsi di determinati eventi (quali la modifica della struttura organizzativa o esiti negativi della verifica dell’efficacia). Nel PNA si è anche richiamata l’attenzione sulla misura della rotazione, applicabile anche agli enti di diritto privato, compatibilmente con le esigenze organizzative d’impresa, con riferimento ai soggetti preposti con un certo grado stabilità allo svolgimento di attività di pubblico interesse. Per quanto riguarda il divieto di c.d. pantouflage, attesa la formulazione letterale dell’art. 21 del d.lgs. 39/2013, che ha assimilato ai dipendenti pubblici solo i titolari di uno degli incarichi considerati dal medesimo decreto, si è ritenuto opportuno indicare che la disciplina non possa essere estesa a tutti i dipendenti né ai dirigenti ordinari. Per quanto concerne il whistleblowing, a seguito dell’entrata in vigore della l. 179/2017 che ha esteso la tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti ai dipendenti di enti di diritto privato in controllo pubblico ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., si è rinviato alle linee guida in via di emanazione. Alcune indicazioni sono state anche fornite con riguardo alla nomina del RPCT. Ad esempio, si è raccomandato, in relazione alle frequenti carenze organizzative riscontrate nell’ambito dell’esperienza maturata dall’Autorità, soprattutto nelle società ed enti di piccole dimensioni, di fare riferimento alle soluzioni prospettate nella delibera n. 1134/2017. Tali soluzioni consistono nella possibilità di affidare i compiti del RPCT a profilo non dirigenziale con competenze adeguate, o, in casi eccezionali, ad amministratore privo di deleghe gestionali. E’ stato in ogni caso ribadito il divieto di affidare l’incarico di RPCT a un soggetto esterno. L’Autorità ha infine escluso che il RPCT possa far parte dell’Organismo di valutazione (OdV) nominato ai sensi del d.lgs. 231/2001, considerate le diverse funzioni attribuite dalle rispettive normative di riferimento, pur raccomandando il costante coordinamento fra i vari organi di controllo e il RPCT. Per quanto riguarda le società partecipate ed enti di diritto privato indicati all’art. 2-bis, co. 3, del d.lgs. 33/2013, nel PNA l’Autorità ha ribadito i chiarimenti già forniti nelle linee guida sulla nozione di attività di pubblico interesse, sulla base delle esemplificazioni contenute nella medesima disposizione, richiamando l’onere per ogni ente, d’intesa con l’amministrazione partecipante, controllante o vigilante, di specificare nel documento contenente le misure di prevenzione della corruzione quali attività rientrano fra quelle di pubblico interesse.

Fonte: Anac Progetto trasparenza > Prevenzione della corruzione e della trasparenza

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