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02/06/2020 Progetto Trasparenza > Azioni in materia di prevenzione della corruzione - Funzioni incompatibili svolte dal pubblico funzionario

  • Incompatibilità tra le funzioni svolte dal pubblico funzionario

L’esame delle segnalazioni e delle richieste di parere pervenute all’ANAC, nonché l’esperienza applicativa della fattispecie di inconferibilità di incarichi conseguente a condanna penale per reati contro la pubblica amministrazione, come disciplinata dall’art. 3 del d.lgs. 39/2013, ha consentito di individuare problematiche giuridiche ricorrenti e difficoltà applicative che sono state compendiate nella delibera n. 1201 del 18 dicembre 2019recante “Indicazioni per l'applicazione della disciplina delle inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione - art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001”. Per quanto attiene la natura giuridica della causa di inconferibilità in esame, l’Autorità, con orientamento consolidato, ha più volte affermato che essa concerne non tanto la categoria delle misure di natura sanzionatoria penale o amministrativa (da ultimo con le recenti delibere nn. 159/2019, 313/2019, 447/2019) quanto quella degli strumenti di prevenzione della corruzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione, avendo lo scopo di evitare che l’esercizio della funzione amministrativa avvenga per mano di soggetti che abbiano dimostrato la propria inidoneità alla spendita di poteri pubblici, conformemente ai principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione. La ratio sottesa alla disciplina delle inconferibilità in questione è la medesima di altri istituti, quali quelli della decadenza di diritto da una serie di cariche elettive conseguente a sentenza di condanna passata in giudicato per determinati reati (art. 15 legge 19 marzo 1990, n. 55, “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”). L’impostazione interpretativa trova il proprio fondamento nella giurisprudenza di legittimità che ha escluso la natura sanzionatoria delle misure che precludono il mantenimento di determinate cariche pubbliche in conseguenza di condanne penali (Corte costituzionale n. 236/2015). Rapporto tra ll’art.3 del d.lgs. 39/2013 e l’art.35-bis del d.lgs. 165/2001 L’Autorità si è pronunciata anche sulla questione del rapporto intercorrente tra le disposizioni dell’art. 3 del d.lgs. 39/2013 e quelle dell’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 recante “Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici”, che elenca una serie di mansioni che non possono essere svolte «da coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del codice penale». La previsione quindi vieta il conferimento di una serie di mansioni a soggetti condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i medesimi reati indicati dall’art. 3 del d.lgs. 39/2013, che abbiano un rapporto di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Come evidenziato anche nella delibera n. 1292 del 23 novembre 2019, l’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 rappresenta una nuova e diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all’Amministrazione, dovuto all’affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà. Dal punto di vista applicativo si è posto il problema dell’esatto ambito di applicazione delle due disposizioni; infatti, se è vero che condividono la medesima ratio di prevenzione della corruzione, dall’altro presentano delle differenze dal punto di vista degli effetti e della durata delle preclusioni in esse previste. Quanto agli effetti, mentre le inconferibilità dell’art. 3 del d.lgs. 39/2013 riguardano tutti i tipi di incarico dirigenziale, i divieti di cui all’art. 35 bis del d.lgs. 165/2001 riguardano mansioni specifiche, indifferentemente dal fatto che esse attengano a un incarico dirigenziale o meno. Con riferimento, invece, alla durata delle preclusioni, l’art. 3 del d.lgs. 39/2013 prevede una differente durata a seconda della pena irrogata e della tipologia di sanzione accessoria interdittiva; l’art. 35-bis del d.lgs. 165/2001 sembra estendere la sua applicazione sine die, fino a che non sia intervenuta, per il medesimo reato, una sentenza di assoluzione, anche non definitiva, ovvero una sentenza di riabilitazione. L’Autorità ha riscontrato che spesso, unitamente alla sentenza di condanna, venga applicato il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 166 c.p.; anche su questo punto l’orientamento interpretativo offerto dall’Autorità è fermo nel ritenere che non rileva ai fini della inconferibilità degli incarichi la concessione della sospensione condizionale della pena, in considerazione della natura giuridica di tale preclusione quale strumento di prevenzione della corruzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione. Un’altra importante questione interpretativa riguarda la fattispecie di inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 nel caso di sentenza di condanna per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, commessi nella forma del tentativo. L’Autorità si è espressa con la delibera n. 447 del 17 aprile 2019, che ha modificato il precedente orientamento n. 64 del 9 settembre 2014, con il quale si era ritenuto non applicabile il regime delle inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 alle ipotesi di reato commesse nella forma del tentativo. La rilettura della norma in questione è stata orientata ai principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento contenuti nell’art. 97 della Costituzione, oltre che alla ratio sottesa alla disciplina delle inconferibilità di tutelare la funzione amministrativa rispetto a condotte infedeli del funzionario pubblico, tutela estesa anche all’immagine della amministrazione pubblica. Infatti i beni giuridici tutelati, l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa, non possono ammettere una distinta rilevanza riconosciuta alle fattispecie di reato consumato rispetto a quelle di reato tentato, tenuto conto della “completezza”, dal punto di vista di tutti gli elementi, oggettivi e soggettivi, del delitto tentato rispetto a quello consumato. Tali conclusioni hanno condotto a ritenere sussistente l’ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 nei confronti di un dirigente ministeriale condannato per il reato tentato di concussione. A seguito del rilascio del parere, il dirigente in questione ha presentato istanza di riesame, contestando che i fatti per i quali è stato condannato risalivano ad epoca anteriore rispetto all’entrata in vigore del d.lgs. 39/2013. Sulla questione dell’efficacia nel tempo delle norme sulle inconferibilità e incompatibilità l’Autorità ha confermato che la circostanza che la condanna sia stata pronunciata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 39/2013 non rileva ai fini dell’applicazione della disciplina dell’inconferibilità, poiché quest’ultima non rappresenta un effetto penale o una sanzione accessoria alla condanna, ma un effetto di natura amministrativa che, in applicazione della disciplina generale dettata dall’art. 11 delle preleggi sull’efficacia della legge nel tempo, regola naturaliter le procedure amministrative che si dispieghino in un arco di tempo successivo. Ulteriore questione esaminata è quella relativa alla possibilità di ricomprendere nell’ambito di applicazione oggettivo della norma in esame anche le condanne pecuniarie comminate con decreto penale di condanna, laddove il testo dell’art. 3 del d.lgs. 39/2013 prevede che «A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale […]». Al fine di valutare la possibilità di equiparare, quanto agli effetti della previsione di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013, il decreto penale di condanna alla “sentenza non passata in giudicato” soccorre il riconoscimento della natura di strumento di prevenzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione dell’inconferibilità in questione. Anche in tali casi il dipendente pubblico è ritenuto responsabile, attraverso un atto di accertamento da parte del giudice penale, della violazione di quei principi di fedeltà, imparzialità e buon andamento che l’art. 3 del d.lgs. 39/2013 intende tutelare, rendendo inopportuna l’attribuzione allo stesso di incarichi che implicano la spendita di poteri pubblici. Tuttavia, nel caso di dipendente condannato con decreto penale di condanna, che applica esclusivamente una pena pecuniaria, anche in sostituzione della pena detentiva, si pone il problema della durata del periodo di inconferibilità che normalmente viene parametrata sulla base della durata della pena detentiva inflitta, ovvero della durata dell’eventuale dell’interdizione dai pubblici uffici. In tali casi, si è ritenuto che tale limite operativo possa essere superato facendo riferimento al periodo di detenzione ritenuto convertibile in pena pecuniaria, secondo le prescrizioni dell’art. 459, co. 1 bis, c.p.p..

Per quanto riguarda l'applicazione della disciplina sulle inconferibilità e incompatibilità in ambito sanitario , con la delibera n. 1146 del 25 settembre 2019, l’Autorità ha offerto un importante orientamento avente ad oggetto l’esatta perimetrazione dell’ambito soggettivo di applicazione della disciplina di cui al d.lgs. 39/2013 in ambito sanitario. Infatti, il legislatore, ritenendo applicabile, in tale contesto, la disciplina sulle inconferibilità e incompatibilità esclusivamente agli incarichi di direttore generale, sanitario e amministrativo, ha optato per una restrizione del perimetro soggettivo di applicazione della disciplina de qua rispetto a quello ordinariamente previsto per le altre pubbliche amministrazioni, ove viene genericamente in rilievo ogni incarico dirigenziale interno o esterno. L’Autorità ha rilevato che la ragione di tale scelta risiede nel particolare assetto della dirigenza medica e sanitaria (veterinaria, chimica, farmacista, biologa, psicologa e fisica) ove tutti sono formalmente inquadrati come dirigenti, iscritti in un unico ruolo , a prescindere , cioè, dall’effettivo svolgimento di incarichi di direzione di strutture semplici-complesse. Al contrario, la normativa in tema di inconferibilità e incompatibilità considera quali incarichi dirigenziali rilevanti, ai fini dell’applicazione dei limiti e delle preclusioni ivi contenuti, solo quelli che comportano «l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione» (art. 1, co. 2 lett. j) che, in ambito sanitario, sono appunto quelli di direttore generale, sanitario e amministrativo. Tuttavia, nelle aziende ospedaliere (quale genus di molteplici species di enti) non operano solo dirigenti medici – farmacisti – biologi – veterinari, bensì una serie di professionisti necessari e funzionali al corretto svolgimento dell’attività sanitaria, come i soggetti incardinati negli uffici deputati alla gestione del personale ovvero gli avvocati o, ancora, gli esperti informatici e il personale dei dipartimenti “affari generali”. Tali figure professionali non sono sottoposte al peculiare inquadramento riservato alla dirigenza medico - sanitaria e neppure godono dello speciale regime di autonomia operativa e gestionale. Per tali ragioni, si è ritenuto che rispetto ad essi valgano le ordinarie regole previste dal d.lgs. 39/2013: se sono titolari di competenze di amministrazione e gestione, svolgono, allora, incarichi dirigenziali rientranti nella categoria di cui all’art. 3, co. 1 lett. c), del d.lgs. 39/2013.

Sono, inoltre, pervenuti a questa Autorità alcuni quesiti con riferimento all’applicabilità della disposizione in esame ai segretari comunali e provinciali condannati per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale. La difficoltà evidenziata attiene all’impossibilità, nel caso dei segretari comunali e provinciali, di conferire al soggetto destinatario del provvedimento del giudice penale un incarico diverso da quello che comporti l’esercizio delle competenze di amministrazione e alla necessaria messa a disposizione del ruolo senza incarico per il periodo di inconferibilità ai sensi dell’art. 3, co. 4, del d.lgs. 39/2013. Le conseguenze pratiche dell’applicazione dell’ipotesi di inconferibilità in questione sono evidenti, in quanto al segretario comunale sollevato dall’incarico a seguito dell’intervenuta sentenza di condanna dovrà essere corrisposto il trattamento economico in godimento presso l’ultima sede di servizio. Tuttavia, tali conseguenze non possono essere oggetto di valutazione da parte di questa Autorità, la quale non può che affermare l’applicabilità dell’inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 all’incarico di segretario comunale e provinciale in quanto riconducibile agli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni locali, non potendo mettere in discussione il chiaro dettato normativo alla luce delle difficoltà evidenziate.

Un’ulteriore questione che ha investito l’Autorità è relativa all’applicazione dell’ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 nel caso in cui il dipendente pubblico sia destinatario di una sentenza di condanna per danno erariale emessa dalla Corte dei Conti. L’Autorità ha dato risposta negativa al quesito, ma ha ritenuto necessario formulare alcune considerazioni, da compendiare – anch’esse - in una specifica segnalazione a Governo e Parlamento. Infatti, pur in assenza di una norma di legge che individui nella condanna per danno erariale una condizione ostativa all’assunzione di determinati incarichi nelle pubbliche amministrazioni o negli enti pubblici, i fatti che ne costituiscono presupposto possono rivestire lo stesso disvalore rispetto ai fatti che determinano una fattispecie di reato, in quanto la pronuncia di condanna della Corte dei conti accerta una responsabilità che deriva da un danno provocato alla finanza e/o al patrimonio di un ente pubblico con dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 1 della legge 19 gennaio 1994, n. 20. Tale valutazione è stata compiuta anche dal legislatore, il quale nella legge 124/2015 recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” nel dettare i principi e i criteri direttivi per l’adozione di decreti legislativi concernenti la dirigenza pubblica, ha contemplato la «previsione di ipotesi di revoca dell’incarico e di divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva, da parte della Corte deiConti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose», sebbene tale previsione non sia stata successivamente attuata dal legislatore delegato.

Per quanto riguarda il discorso relativo alle deleghe gestionali dirette , A partire dalla sentenza n. 126 dell’11 gennaio 2018 del Consiglio di Stato, Sezione V, è stato adottato un nuovo criterio ermeneutico nella perimetrazione del concetto dell’incarico di «Presidente con deleghe gestionali dirette». Nella richiamata sentenza il Consiglio di Stato ha affermato che, nell’ambito di un consorzio per lo sviluppo industriale (ASI), anche se lo statuto non preveda espressamente il conferimento di deleghe gestionali in capo al Presidente, laddove al comitato direttivo siano conferiti poteri gestori, anche il Presidente, per il solo fatto di essere membro di tale consesso, risulta parimenti investito di tali poteri. L’Autorità ha fatto proprio quanto statuito dalla suddetta giurisprudenza amministrativa, come si evince dalle delibere ANAC n. 373 dell’8 maggio 2019 (concernente la sussistenza di ipotesi di inconferibilità del Presidente e di due componenti del CdA di un ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di un ente comunale) e n. 450 dell’8 maggio 2019 (riguardante l’accertamento di una fattispecie di inconferibilità in relazione all’incarico di Presidente di una IPAB). Nelle suddette delibere l’Autorità ha, quindi, confermato l’assunto del giudice amministrativo, in forza del quale possono essere considerate attribuite al Presidente, oltre ai poteri specificamente conferiti allo stesso, anche tutte le funzioni riconosciute all’organo collegiale di cui fa parte. In particolare, nella delibera n. 373/2019, l’Autorità ha precisato che, al fine di escludere che il Presidente di un consiglio di amministrazione sia titolare di deleghe gestionali dirette, non è sufficiente la mera presenza di un amministratore delegato o di un direttore generale, ma è necessario che la ripartizione delle competenze fra CdA e direttore generale venga stabilita dallo stesso statuto, così da determinare un assetto di governo societario stabile e continuativo. Con riferimento alla questione delle deleghe gestionali, l’Autorità si è soffermata, inoltre, sul tema della sussistenza delle deleghe gestionali in capo ai Presidenti degli ordini professionali (delibera n. 648 del 10 luglio 2019). Dall’analisi della normativa di settore è emerso che tutte le funzioni tipicamente gestorie relative alla tenuta dell’albo - la vigilanza sulla correttezza dell’attività professionale degli iscritti, l’eventuale esercizio del potere disciplinare nei confronti degli stessi, alla designazione dei rappresentanti presso commissioni, enti ed organizzazioni di carattere locale, la determinazione della tassa annuale per l’iscrizione all’albo, l’amministrazione dei beni spettanti all’Ordine, la promozione di tutte le iniziative volte a facilitare il progresso culturale degli iscritti - erano svolte dal Consiglio direttivo. Pertanto, in relazione alla figura del Presidente, si è ritenuto di applicare quanto statuito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 126/2018, in quanto nel caso esaminato il Presidente dell’ordine veniva eletto tra i membri del Consiglio direttivo e, in quanto membro, manteneva le relative funzioni di gestione e di vigilanza sul buon andamento delle attività sociali. Una delle criticità applicative conseguenti a tale mutamento interpretativo in tema di deleghe gestionali ha riguardato la questione della sua applicabilità agli incarichi di Presidente conferiti in costanza del precedente orientamento. Nella delibera n. 1192 del 27 novembre 2019, è stata accertata la non conferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2 lettera d) del d.lgs. 39/2013, dell’incarico di Presidente del CdA di un Gruppo di Azione Locale (GAL), ente controllato da vari enti locali, per la provenienza del soggetto interessato da un incarico di indirizzo politico in uno degli enti locali controllanti. In tale circostanza l’Autorità ha chiarito che, nel caso in cui l’incarico di Presidente del CdA di un ente pubblico o di un ente di diritto privato in controllo pubblico sia stato conferito in data antecedente rispetto all’orientamento ermeneutico fornito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 126/2018, pur dovendosi confermare, alla luce dei recenti orientamenti, la sussistenza delle deleghe gestionali e la conseguente applicazione delle ipotesi preclusive di cui al d.lgs. 39/2013, si debba, tuttavia, escludere il profilo soggettivo della colpa in capo all’organo conferente previsto dall’art. 18 del d.lgs. 39/2013, rendendosi superfluo il relativo procedimento sanzionatorio, poiché nel periodo di conferimento dell’incarico anche l’Autorità seguiva un diverso orientamento ermeneutico.

Distinzione tra incarichi amministrativi di vertice e incarichi dirigenziali interni e esterni :

All’esito di un procedimento di vigilanza relativo ad un caso specifico, l’Autorità ha emanato la delibera n. 818 del 18 settembre 2019, in cui ha adottato un criterio interpretativo sostanzialistico al fine di distinguere gli “incarichi amministrativi di vertice”, ai sensi dell’ art. 1, comma 2 lettera i), del d.lgs. 39/2013, dagli “incarichi dirigenziali interni e esterni” definiti dalle lettere j) e k) del medesimo articolo. Talvolta, infatti, il legislatore ha ritenuto precluso, al ricorrere di certe condizioni, solo il conferimento di uno dei due incarichi. Dalla lettura delle rispettive definizioni emerge che ciò che distingue un incarico dall’altro è l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione dell’ente. Ciò nel senso che il legislatore ha ritenuto di ricomprendere nella categoria di “incarico amministrativo di vertice” coloro che, nell’ente, si occupano di fungere da raccordo tra l’organo di indirizzo politico e gli organi dirigenziali preposti alla concreta gestione amministrativa. Dall’analisi della casistica sottoposta all’attenzione di questa Autorità si è riscontrato che non è infrequente che, nonostante il nomen iuris dell’incarico rivestito (ad esempio di Segretario Generale), le funzioni gestorie siano attribuite ai titolari di incarichi amministrativi di vertice degli enti pubblici in luogo di quelli dirigenziali. Al fine di evitare aggiramenti delle norme sulle incompatibilità, facilitati da un’interpretazione fondata solo su un criterio formalistico - letterale, l’Autorità ha, dunque, ritenuto che l’interprete sia tenuto a svolgere un’indagine, caso per caso, sull’effettiva ripartizione delle competenze programmatorie e gestorie nell’ente di riferimento e delle attività effettivamente svolte dal soggetto all’interno dell’ente. L’esito di tale accertamento potrebbe, infatti, condurre ad affermare che l’esercizio di competenze gestorie spetti, a dispetto del nomen iuris, ad esempio, al Segretario Generale.

Regime della inconferibilità per la provenienza da cariche politiche :

A seguito di un’altra specifica istruttoria, l’ANAC si è espressa, con delibera n. 1007 del 23 ottobre 2019, in ordine al corretto ambito di applicazione dell’esimente di cui all’art.7, comma 3 del d.lgs. 39/2013, che prevede una causa di esclusione dalle ipotesi di inconferibilità di incarichi amministrativi per provenienza da cariche politiche, nei confronti dei dipendenti «della stessa amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che, all’atto di assunzione della carica politica, erano titolari di incarichi». L’Autorità, confermando i propri precedenti orientamenti, ha ritenuto che l’esimente di cui all’art. 7 comma 3 del d.lgs. 39/2013 si applichi solo a coloro che, una volta esaurito il mandato politico, ritornino all’interno dei ruoli della stessa amministrazione, dello stesso ente pubblico o dello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico, presso cui erano incardinati prima dello svolgimento dell’incarico politico. L’esimente non si applica, invece, nel caso in cui, concluso il mandato politico, il dipendente transiti nei ruoli di un ente diverso da quello di origine. Nella delibera n. 208 del 13 marzo 2019, questa Autorità si è espressa sul un caso di presunta inconferibilità, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera d) del d.lgs. 39/2013 dell’incarico di Presidente del CdA di un ente di diritto privato in controllo pubblico a favore di un soggetto proclamato consigliere comunale, ma rinunciatario dopo pochi giorni e prima della convalida degli eletti. In merito, l’Autorità ha chiarito che l’elemento costitutivo della preclusione prevista dalla norma è l’aver composto, nei due anni precedenti, l’organo di indirizzo politico dell’ente locale che controlla l’ente di diritto privato del quale si è nominati amministratore. Nella fattispecie esaminata, invece, il soggetto interessato ha rinunciato alla carica pochi giorni dopo la proclamazione e non ha concorso all’attività del consiglio stesso; si è ritenuto, pertanto, che la mera proclamazione di elezione non sia sufficiente ad integrare la fattispecie di inconferibilità suddetta, risultando necessario, il concreto esercizio delle funzioni sottese alla carica politica. L’Autorità, inoltre, con la delibera n. 685 del 17 luglio 2019,si è espressa in merito alla legittimità, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera b), del d.lgs. 39/2013 del conferimento degli incarichi di dirigenti scolastici a soggetti già titolari di cariche politiche di livello locale. Il legislatore, nella fattispecie richiamata, per quanto concerne l’incarico in destinazione, ha ritenuto rilevante, ai fini dell’inconferibilità, i soli incarichi dirigenziali svolti nelle pubbliche amministrazioni di livello regionale, provinciale o comunale. La disposizione de qua non si applica agli incarichi dirigenziali conferiti nell’ambito delle amministrazioni statali. Per tale ragione, sebbene i dirigenti scolastici svolgano funzioni di gestione dell’istituzione scolastica e detengano effettivi poteri decisori in ordine all’allocazione e all’impiego di mezzi, risorse finanziarie e umane, questa Autorità (cfr. delibera n. 460/2018) aveva già escluso la sussistenza della suddetta fattispecie d’inconferibilità, rilevando che le istituzioni scolastiche sono amministrazioni che rientrano nell’apparato dello Stato e non possono essere ricondotte al livello territoriale regionale, provinciale o comunale, nel senso indicato dalla normativa in esame. Con la delibera sopra richiamata, l’Autorità, previa analisi del quadro normativo di riferimento, ha ritenuto applicabile il medesimo principio giuridico anche agli incarichi conferiti nell’ambito degli istituti scolastici primari e secondari della provincia di BolzanoAlto Adige, nonostante il particolare regime di autonomia in materia scolastica riconosciuto dal dPR 670/72 e dal d.P.R. 89/83. Sono state, pertanto, escluse cause di inconferibilità e incompatibilità ai sensi del d.lgs. 39/2013 nell’attribuzione dell’incarico di dirigente scolastico a chi avesse già ricoperto cariche politiche di livello locale.

Applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2013 n.39 a talune tipologie di incarichi :

L’Autorità ha esaminato diversi casi concreti relativi alla applicabilità della normativa di cui al d.lgs. 39/2013 agli incarichi di revisore dei conti degli enti del sistema camerale Camere di Commercio e/o Unioni di Camere di Commercio) e degli enti locali (nella specie Comuni). L’Autorità si è pronunciata sul tema con la delibera n. 1006 del 23 ottobre 2019, nella quale ha statuito che la disciplina delle inconferibilità/incompatibilità contenuta nel d.lgs. 39/2013 non si applica all’incarico di revisore dei conti negli enti locali di cui all’art. 234 e ss. del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL) e all’incarico di revisione dei conti negli enti del sistema camerale ai sensi dell’art. 17 della legge 580/1993, in quanto tali incarichi non sono riconducibili allo svolgimento di funzione dirigenziale o gestoria. L’Autorità, infatti, ha esaminato le funzioni assegnate ai revisori dei conti degli enti locali, ai sensi dell’art. 239 del TUEL e, analogamente, le funzioni attribuite al collegio dei revisori dei conti delle camere di commercio, ai sensi della legge 580/1993, arrivando ad accertare che, in entrambi i casi, nessuna delle funzioni svolte dai revisori dei conti può essere ricondotta alle funzioni dirigenziali o gestorie che costituiscono uno dei presupposti di applicabilità delle fattispecie di inconferibilità/incompatibilità previste dal d.lgs. 39/2013. Sempre in relazione alle camere di commercio, l’Autorità ha emanato la delibera n691 del 17 luglio 2019, in ordine alla possibile sussistenza di una situazione di incompatibilità di cui all’art .9 del d.lgs. 39/2013 in capo a un dirigente di una camera di commercio nominato contestualmente direttore dell’azienda speciale della camera di commercio stessa. In tale ipotesi, l’Autorità ha escluso la sussistenza della paventata ipotesi di incompatibilità poiché un’azienda speciale della camera di commercio per la struttura, le funzioni attribuite, e i poteri di nomina dei membri del consiglio di amministrazione in capo alla camera di commercio stessa, può essere equiparata alle aziende speciali disciplinate dall’art.114 del TUEL e, dunque, può essere qualificata, ai fini dell’applicazione del d.lgs. 39/2013, come ente pubblico economico. Pertanto, l’attribuzione di un incarico dirigenziale in un’azienda speciale camerale a colui che sia anche dirigente presso la camera di commercio che l’ha istituita non comporta profili di inconferibilità/ incompatibilità ai sensi del suddetto d.lgs. 39/2013. L’Autorità si è espressa, con la delibera n. 685 del 17 luglio 2019, in merito alla legittimità, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera b), del d.lgs. 39/2013 del conferimento degli incarichi di dirigenti scolastici a soggetti già titolari di cariche politiche di livello locale. Il legislatore, nella fattispecie richiamata, per quanto concerne l’incarico in destinazione, ha ritenuto rilevante, ai fini dell’inconferibilità, i soli incarichi dirigenziali svolti nelle pubbliche amministrazioni di livello regionale, provinciale o comunale. La disposizione de qua non si applica agli incarichi dirigenziali conferiti nell’ambito delle amministrazioni statali. Per tale ragione, sebbene i dirigenti scolastici svolgano funzioni di gestione dell’istituzione scolastica e detengano effettivi poteri decisori in ordine all’allocazione e all’impiego di mezzi, risorse finanziarie e umane, questa Autorità (cfr. delibera n. 460/2018) aveva già escluso la sussistenza della suddetta fattispecie d’inconferibilità, rilevando che le istituzioni scolastiche sono amministrazioni che rientrano nell’apparato dello Stato e non possono essere ricondotte al livello territoriale regionale, provinciale o comunale, nel senso indicato dalla normativa in esame. Con la delibera sopra richiamata, l’Autorità, previa analisi del quadro normativo di riferimento, ha ritenuto applicabile il medesimo principio giuridico anche agli incarichi conferiti nell’ambito degli istituti scolastici primari e secondari della provincia di BolzanoAlto Adige, nonostante il particolare regime di autonomia in materia scolastica riconosciuto dal dPR 670/72 e dal d.P.R. 89/83. Sono state, pertanto, escluse cause di inconferibilità e incompatibilità ai sensi del d.lgs. 39/2013 nell’attribuzione dell’incarico di dirigente scolastico a chi avesse già ricoperto cariche politiche di livello locale. Nella delibera n. 553 del 12 giugno 2019, infine, l’Autorità ha trattato una questione attinente l’accertamento di possibili violazioni del d.lgs. 39/2013 in relazione al conferimento dell’incarico di Segretario Generale del Comitato di Gestione di un ente pubblico a chi nei due anni precedenti abbia svolto incarichi presso una società che è risultata essere affidataria di contratti pubblici aggiudicati, a seguito di procedure di evidenza pubblica, da parte dell’ente pubblico di destinazione. La delibera ha statuito l’insussistenza di una situazione di inconferibilità ai sensi dell’art. 4, comma 1, lettera a), del d.lgs. 39/2013 con riferimento all’incarico di Segretario Generale, previa esclusione della nozione di ente di diritto privato regolato o finanziato dell’ente di provenienza del soggetto interessato. In tale circostanza, l’Autorità ha, infatti affermato che, allo scopo di identificare correttamente il rapporto di finanziamento intercorrente tra l’amministrazione che conferisce l’incarico e l’ente di diritto privato finanziato, rilevante ai fini dell’applicazione della fattispecie di inconferibilità di cui all’art. 4, comma 1, lett. a), del d.lgs. 39/2013, con riferimento al finanziamento di attività attraverso rapporti convenzionali, quali contratti pubblici, contratti di servizio pubblico e di concessione di beni pubblici, occorre accertare l’entità del corrispettivo, la continuità e la stabilità del rapporto di finanziamento.

Fonte: Anac Progetto trasparenza > Prevenzione della corruzione e della trasparenza

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